Ordinanza n. 522 del 1995

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ORDINANZA N. 522

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 106, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 novembre 1994 dal Pretore di Grosseto sezione distaccata di Orbetello nel procedimento penale a carico di Ciarallo Aurelio, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1995;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 ottobre 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli.

RITENUTO che nel corso dell'udienza dibattimentale penale nei confronti di Ciarallo Aurelio ed altri, imputati dei reati di cui agli artt. 1161 del codice della navigazione, 633 e 639bis, del codice penale, 1-sexies della legge n. 431 del 1985 e 20, lettera c), della legge n. 47 del 1985, il Pretore di Grosseto, con ordinanza del 4 novembre 1994 (R.O. n. 63 del 1995), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 106, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che la difesa di un imputato non può essere assunta da un difensore che nello stesso giudizio abbia la veste di imputato, in posizione incompatibile con quella dell'imputato che lo nomini;

che nell'ordinanza si osserva che Ciarallo Aurelio, nel corso dell'udienza istruttoria, ha nominato difensore un avvocato, a sua volta coimputato nel medesimo procedimento, e che le posizioni dei due imputati, come dedotto dal pubblico ministero e dai difensori delle parti civili, risultano incompatibili ai sensi dell'art. 106 del codice di procedura penale, secondo il quale la difesa di più imputati non può essere assunta da un difensore comune se questi hanno posizioni tra loro incompatibili e l'incompatibilità è rilevata dall'autorità giudiziaria che fissa un termine per rimuoverla, provvedendo alle sostituzioni, ai sensi dell'art. 97 del codice di procedura penale, in caso negativo;

che, secondo il giudice remittente, l'articolo suddetto vieta solamente che la difesa di più imputati, con posizioni tra loro incompatibili, possa essere assunta dallo stesso difensore, mentre non vieterebbe che la difesa di un imputato possa essere assunta da un difensore che nello stesso giudizio abbia la veste di coimputato, anche se in posizione incompatibile con quella dell'imputato che lo nomini;

che, sulla base di tale presupposto interpretativo, il giudice remittente chiede alla Corte di estendere il divieto di cui all'art. 106 anche all'ipotesi, non prevista dal legislatore, in cui il coimputato in posizione incompatibile sia nominato difensore dall'altro imputato;

che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità e per l'infondatezza della questione.

CONSIDERATO che le argomentazioni del giudice remittente si fondano su una interpretazione palesemente errata che non tiene adeguato conto del fatto che alla base del divieto contenuto nella norma impugnata, introdotto per garantire l'effettività della difesa, si pone, in generale, l'incompatibilità tra le posizioni difensive di più imputati nello stesso processo;

che tale incompatibilità deve ritenersi sussistente sia ove investa la posizione di più imputati rispetto al difensore comune, sia ove riguardi la posizione di più imputati dei quali uno, avendo la qualità di avvocato, sia stato nominato difensore dall'altro, dal momento che l'assunzione della difesa di un coimputato da parte di un imputato che sia con il primo in posizione di conflitto di interessi equivarrebbe all'assunzione, in violazione del divieto espressamente posto nella norma impugnata, della difesa (difesa di se medesimo e difesa tecnica del coimputato) di più imputati in posizioni tra loro incompatibili;

che le ragioni che giustificano il divieto espressamente previsto dal legislatore risultano, nella specie, aggravate, in quanto l'assunzione della difesa da parte del coimputato in posizione incompatibile costituisce un ulteriore fattore di pregiudizio per l'effettività della difesa;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, in quanto la norma di cui si chiede l'introduzione, con una sentenza additiva, risulta già compresa nel contenuto della disposizione impugnata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 106, comma 1, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Grosseto con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/95.

Mauro FERRI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/12/95.